Paesi e Borghi Apuani a cura di Giuseppe Volpi
LA FILANDA DI FORNO

I ruderi della Filanda di Forno rappresentano un’importantissima memoria storico- economica per l’intera provincia di Massa-Carrara, costituendo contemporaneamente un classico esempio di archeologia industriale.

La costruzione

L’opificio, creato alla fine dell’ottocento, è da considerarsi la prima opera del capitalismo industriale nella nostra provincia e, nel suo genere, una delle maggiori anche a livello regionale.

Essa infatti, nel 1893, dava lavoro a ben 254 operai, dei quali 55 erano di età inferiore ai 15 anni, e a 544 operaie, delle quali 160 avevano meno di 15 anni: una forza lavoro di quasi 800 persone e, fin da quel periodo, con dei macchinari di ottima qualità.

I lavori di costruzione dell’edificio ebbero inizio nel 1881, su progetto di un certo Ing. Frimi, un esperto di questo genere di opere “a gradini”, tipiche della costa ligure, come ligure era chi quei lavori li commissionò, Prospero Schiaffino, un savonese che, dopo aver acquistato i terreni da diversi proprietari locali, in quell’anno, ottenne le concessioni per l’installazione della prima turbina, per la costruzione di un ponte che collegasse quei terreni con la strada comunale e per la deviazione e l’incanalamento dell’acqua necessaria alla fabbrica, proveniente dalle vicinissime sorgenti del Frigido.

Nel 1886, la proprietà, che risultava ancora “in costruzione”, fu venduta da Prospero Schiaffino ad un certo Aurelio Ambroso (o Ambrosi, come riporta peraltro una dicitura sulla struttura) il quale, a sua volta, un anno dopo la rivendeva al cotoniere Figari che, nel 1889, costituì la Società Cotonificio Italiano con i piemontesi Poma.

Sotto questa società furono praticamente terminati i lavori di costruzione della fabbrica, nel 1890.

Successivamente, nel 1894, i soci Figari e Poma si divisero: ai Poma rimasero le industrie cotoniere piemontesi, mentre ai Figari andarono quelle liguri e, appunto, la nostra Filanda, che entrò così a far parte della Società Cotonificio Ligure.

A lavori terminati la costruzione si presentava come un edificio a gradini[1] che si affacciava per circa 150 metri sulla sponda del Frigido, suddiviso, sempre in senso longitudinale, in 4 blocchi, con, a monte, un altro edificio distaccato con funzioni di magazzino e di convitto gestito da suore e aperto solo alle lavoratrici non residenti, per le quali disponeva anche di un centinaio di posti letto, ed in più, a poca distanza da questo, era stato innalzato un palazzo residenziale con 10 appartamenti per gli assistenti di fabbrica.La Filanda com'era nel 1901

In pratica il modello di questo opificio ricalcava il modello inglese dell’epoca, che un buon seguito aveva già avuto in Italia nel decennio precedente l’inizio della costruzione della nostra Filanda e segnò, in pratica, l’inizio del sistema capitalistico e di quello del proletariato industriale nella nostra provincia, che vedeva madri al lavoro per almeno 12 ore al giorno ed i loro figli, poco più che bambini, impiegati in opere di manovalanza e di pulizia, con il pretesto di imparare un mestiere.

Casa, famiglia e lavoro quasi in simbiosi sembrerebbe a prima vista, ma, purtroppo, tutto ciò non era esattamente proteso ad un vero miglioramento dello stile di vita popolare, ma era inteso, da parte del “padrone”, come disponibilità totale della forza lavoro e come controllo costante su di essa, e, per contro, era rassegnatamente accettato da parte dell’operaio, pur di avere un tetto sulla testa, un piatto di minestra (peraltro solo per chi veniva da fuori) ed un minimo di soldi in tasca, in un periodo ed in una realtà locale che offriva ben poco di meglio.

E così Forno passò dai 500 abitanti scarsi dell’inizio dell’800, ai 1000 dell’inizio della costruzione della Filanda e ai quasi 2000 dell’inizio del ‘900, gente che proveniva dalle vicine Carrara, Seravezza, Sarzana ecc., fatto che comportò un esagerato incremento della costruzione di case per gli operai, le quali, per ovvio esaurimento di spazio, dovettero poi crescere in altezza, creando non pochi problemi di coabitazione tra gli inquilini.

D’altra parte, il lato positivo, economicamente parlando, fu quello della notevole quantità delle aperture di esercizi commerciali di vario genere, visto che, dove aumenta la gente che lavora, notoriamente, aumentano anche i consumi.

L’importante movimento di merci che si creò lungo la vallata, costrinse l’Amministrazione Comunale e lo stesso Cotonificio Ligure[2] a sistemare e migliorare lo stato dell’unica via esistente, la Bassa Tambura ed a prendere in seria considerazione l’attuazione di un progetto già esistente per la costruzione di una ferrovia/tramvia, che, dopo diversi anni e dietro le sempre più pressanti e insistenti pressioni della Società di Figari, fu finalmente portato a termine nel 1891, quando, ad Aprile, fu inaugurata la linea Stazione Massa-Canevara, mentre per quella per Forno si dovette attendere il 1895.

Dal Giugno 1896 l’uso di queste linee fu autorizzato non soltanto per il trasporto delle merci ma anche per quello dei passeggeri, seppure soltanto nei giorni festivi.

Il capolinea, dotato di doppio binario con scambio, si trovava nel centro del paese di Forno ed esisteva anche una “bretella” di raccordo che congiungeva la linea al Cotonificio, lungo la quale, però, data la pendenza impossibile per le locomotive a vapore, si usava per il traino dei vagoni, una motrice stradale.

Come si svolgeva il lavoro

La locomotiva stradale portava i vagoni contenenti le balle di cotone fino al magazzino, dove avvenivano le operazioni di scarico. Quindi le balle, numerate a seconda del tipo di cotone e pesanti oltre 300 kg. ciascuna, venivano sistemate su carrelli e trasferite in un altro reparto, la mischia, dove esse venivano disfatte e mischiate per formare le varie fibre.

Effettuata questa operazione il cotone passava al reparto di battitura, che era attiguo a quello della mischia, nel blocco posteriore dell’edificio, dove dei macchinari lo lavoravano in modo che vi entrassero più fili e ne uscisse uno solo. A questo punto il cotone lavorato dalla battitura veniva spostato nel blocco centrale della fabbrica, dapprima al piano terra, lato monte, dove veniva cardato e stirato per poi passare al lato fiume, ai banchi grosso, medio e fine dove venivano preparati i vari fili che dovevano passare nel reparto filatura in cui sarebbero stati, per l’appunto, filati dai 20.000 fusi a disposizione, i quali occupavano interamente il primo piano.

Una volta pronti, i fusi venivano portati nel locale seminterrato sotto quello della cardatura, detto delle aspe e dei bubiloni, dove il filo veniva annaspato[3]. Si otteneva così il prodotto finito, che, a questo punto veniva sottoposto a bagnatura e quindi portato nel magazzino, nel seminterrato più basso, dove venivano approntati gli imballi per la spedizione.

Come funzionavano i macchinari

La fabbrica originariamente disponeva di un motore idraulico da 750HP, di un motore a vapore di 500hp e di 3 caldaie a vapore per una potenza complessiva di 500hp: il tutto serviva a far funzionare un impianto di filatura da 20.000 fusi.

Le caldaie furono sostituite da 2 motori elettrici da 450hp nel 1915 e da un motore diesel da 360hp nel 1925. Inoltre, nella seconda metà degli anni ’20, il motore idraulico fu sostituito con un altro di potenza doppia, tuttora presente, che richiese l’allargamento della sala macchine ospitante.

La turbina iniziale era ad asse verticale e produceva una potenza che variava dai 270 ai 750hp. Fu sostituita, anch’essa nella seconda metà degli anni ’20, da quella attualmente esistente che poteva generare una potenza di 1500hp.

Per il funzionamento di questi macchinari si rendeva indispensabile la forza dell’acqua e, come abbiamo già detto, l’edificio era stato costruito accanto alle sorgenti del Frigido proprio per questo motivo. Fu infatti sufficiente captare quell’acqua e convogliarla in un canale di derivazione.

Scorrendo in questo canale di derivazione, che costeggiava lateralmente l’edificio adibito a convitto e a magazzino per passare poi sotto la palazzina degli assistenti, l’acqua occorrente, per mezzo di un sistema a saracinesche, finiva dapprima in una vasca di raccolta, quindi si incanalava in una condotta forzata, arrivando più in basso, fino al livello della Filanda, per poi scendere ancora, con percorso sotterraneo fino al locale che ospitava la turbina, quest’ultima collegata ai macchinari della fabbrica tramite un sistema di alberi motore, ruote, pulegge e cinghie di trasmissione. Raggiunta la turbina il dislivello percorso dal flusso dell’acqua da forza motrice era di 54 metri.

Il resto dell’acqua non utilizzata continuava la propria corsa nel canale di derivazione, uscendo dal quale dava origine alla caratteristica cascatella.

Il declino e la fine

La Filanda, nonostante la grave crisi economica, rimase attiva anche durante il periodo della prima guerra mondiale ma non riuscì a superare la seconda: terminò infatti la propria attività nel Maggio del 1942 per “carenza di materie prime” e i suoi locali furono adibiti a magazzino della nostra Marina Militare.

Poco più di due anni dopo, nel luglio del 1944, i tedeschi dopo averla svuotata impossessandosi del materiale italiano in essa contenuto (in massima parte tessuti, divise e calzature), la minarono con ordigni incendiari ed essendo stati, i solai ed il tetto, costruiti in legno, essa andò quasi completamente distrutta.

I macchinari furono smantellati dalla Società Cotonificio Ligure durante gli anni 1945-1946.

Nel 1950 la turbina, rimasta praticamente intatta nei resti della parte anteriore dell’edificio, fu rimessa in efficienza dallo stesso Cotonificio Ligure che, affiancandole altri macchinari, diede vita ad una nuova Società[4] che iniziò a produrre ed a vendere energia elettrica prima alla CIELI e, successivamente, all’ENEL.

Questa attività proseguì fino al 1970, dopodiché la Filanda fu abbandonata a se stessa, fino al 1983, anno in cui fu acquistata dal Comune di Massa, che l’anno successivo diede inizio ai lavori di restauro della palazzina di facciata e nel 1996 a quelli degli edifici retrostanti, questi ultimi purtroppo però mai terminati.

Sempre nel 1996, il Comune di Massa decise di rimettere in funzione la centrale idroelettrica, realizzando una nuova sala macchine a fianco di quella dov’era situata vecchia turbina.

Il 23 Marzo 2013, la parte restaurata è stata riaperta al pubblico: al suo interno, oltre a diversi reperti tra cui alcuni macchinari d’epoca, è presente il Centro Documentazione della Filanda. Sono possibili anche visite su prenotazione.


BIBLIOGRAFIA:

Massimo MICHELUCCI, "NOTE STORICHE SULLA FILANDA DI FORNO" – 2012 (riedizione), SEA-Società Editrice Apuana, Carrara.

Michela GUIDARELLI, "LA FILANDA DI FORNO: GENESI SVILUPPO E DECLINO DI UN PROGETTO INDUSTRIALE" – 2013, SEA-Società Editrice Apuana, Carrara.

Angela Maria FRUZZETTI, "LE DONNE DELLA MEMORIA, LA MEMORIA DELLE DONNE" - 2011, Tipografia Ceccotti, Massa.

 

[gv - 10/04/2013]

 

note

1 L’edificio era costituito da parti di 4, 3, 2 e 1 piani che risalivano la sponda del fiume. La prima parte era a 3 piani, la parte centrale a 4 piani, di cui 2 seminterrati, ed una parte posteriore, degradante da 2 piani ad 1, che seguiva il pendìo del terreno.

2 Il Cotonificio Ligure intervenne direttamente, inizialmente per la rimozione di frane e per la costruzione dei parapetti nel tratto di strada che va dalla Filanda al paese di Forno e successivamente, nel 1895, ottenendo l’appalto per la sistemazione del tratto Canevara-Forno.

3 Annaspato, cioè avvolto sull’aspo per farne una matassa.

4 Con ragione sociale “Officina di Produzione dell’Energia Elettrica”.