CAMEDRIO ALPINO
(Dryas octopetala)
LO SPAZIO DI FABIO - rubrica curata da Fabio Frigeri
14 gennaio 2010

(f.f.) tra i tanti spettacoli meravigliosi offerti dalla natura apuana ci sono i tappeti verde intenso punteggiati da numerosi fiori bianchi con stami gialli molto decorativi, formati dal Camedrio alpino su terreni altrimenti solo rocciosi come molti crinali delle nostre montagne. Questo fiore è molto importante per i climatologi essendo stato preso come indicatore dell’espansione e del ritiro dei ghiacciai alla fine del Pleistocene.

IL GENERE

Il genere comprende un numero limitato di specie i cui fiori hanno un numero di sepali-petali insolito (otto) per le Rosacee che ne hanno, generalmente, solo cinque.

Sono piccole piante erbacee con grandi fiori che vivono in zone artico-alpine su terreni scistosi o calcarei. In Italia prospera solo la Dryas octopetala.

DRYAS OCTOPETALA

Dryas octopetala (Canedrio alpino)

Dryas octopetala L.

Il nome generico deriva dalla forma delle foglie che ricorda quella delle querce. Dalla voce greca: drys (δρυς) = quercia. Comunque Linneo, che per primò usò il nome, fece riferimento alle Driadi (Δρυάς = driade).

Esse, nella mitologia greca, erano ninfe delle querce, di cui portavano il nome. In genere le ninfe erano giovani donne che popolavano le campagne, i boschi e le acque, erano gli spiriti della natura che personificavano la fecondità e la grazia. Considerate figlie di Zeus, erano divinità secondarie a cui si rivolgevano preghiere e che potevano anche essere pericolose.

Il nome specifico deriva da octo (όκτώ) = otto e petalon (πέταλον) = foglia, petalo, riferito al numero dei petali del fiore.

Anche il nome con cui è conosciuta comunemente questa pianta, camedrio alpino, deriva dal greco ed ha un’etimologia simile: deriva da khamaídrys, composto da khamaí (Χαμαί) = a terra, in basso e da drys (δρυς) = quercia, quindi quercia nana o quercia che sta in basso. La pianta è conosciuta anche come driade.

La particolare bellezza del fiore fa sì che la pianta sia molto usata nei giardini rocciosi di media altitudine in cui forma estesi tappeti sempreverdi.

Il camedrio è considerato un “relitto” glaciale (vedi avanti): la dryas con le glaciazioni[1] spinse il suo areale verso sud e con il ritirarsi della calotta glaciale sopravvisse, isolata, sulle Alpi Apuane e sull’Appennino in quelle zone in cui le condizioni climatiche erano rimaste più simili a quelle originarie.

Proprietà medicamentose

Le foglie del camedrio alpino, raccolte in estate, erano usate e lo sono ancora, per fare un infuso per combattere le infiammazioni sia interne che esterne. Sono toniche, astringenti e favoriscono la digestione. Le foglie sono anche una componente del cosiddetto tè svizzero usato principalmente come rimedio contro le coliche.

Così riporta il botanico apuano Pietro Pellegrini[2]:

482. – Dryas octopetala – L.

(luoghi in cui è stata osservata:) Nelle Alpi Apuane in valle Catino dietro il Sagro (Bert.) e al M. Spallone (Bolzon), al Pizzo d’Uccello (Ross.), sulla cima della Tambura (P. Sav.).

Volg. Camedrio alpino. – Fiorisce in luglio. Pianta legnosa.

LA PIANTA

Classificazione: Superdivisione: Spermatophyta; Divisione: Magnoliophyta (Angiospermae); Classe: Magnoliopsida; Sottoclasse: Rosidae; Ordine: Rosales; Famiglia: Rosaceae; Genere: Dryas; Specie: octopetala

Forma biologica: Camefita reptante (simbolo: Ch. Rept.). Camefita (simbolo: Ch.) è una pianta perenne e legnosa alla base, con gemme svernanti poste in posizione basale ad un’altezza dal suolo da 2 a 30 cm. Reptante (simbolo: Rept) perchè l’accrescimento degli organi è aderente al suolo con carattere strisciante.

Descrizione: è una pianta nana erbacea e perenne che raggiunge al massimo i 12 cm di lunghezza, può avere andamento strisciante o a spalliera e forma fitti tappeti sul terreno provvisti di radici robuste e fibrose. I fusti striscianti sono legnosi e molto ramificati. Le foglie sono presenti anche in inverno, hanno una forma oblungo-ellittica con margini dentellati che ricorda quella delle foglie di quercia; sono picciolate, lunghe da 1 a 2,5 cm, lucide, glabre e verde scuro nella pagina superiore, bianco-tomentose[3] nella pagina inferiore. I fiori sono solitari all’apice di lunghi peduncoli villosi lunghi fino a 10 cm e sono costituiti da 8 petali bianchi (in rari casi si arriva a dieci), hanno un diametro di circa 2-4 cm ed al centro sono ben visibili numerosi stami gialli. Il calice presenta setole irte, scure e glandulifere. I piccoli frutti sono acheni con un lungo filamento piumoso per la dispersione del seme.

Antesi: da giugno ad agosto, secondo l’altitudine

Tipo corologico: è specie artico-alpina (circumboreale) presente nelle regioni fredde ed in quelle alpine dell’emisfero boreale. In Italia è comune su tutto l’arco alpino e si trova poi sulle Alpi Apuane, nell’Appennino Pistoiese, sui monti Sibillini, sul Terminillo, in Abruzzo e Campania.

Habitat: vegeta su rupi e ghiaioni, preferibilmente calcarei, sulle rocce fessurate e negli erbosi rupestri dai 1000 ai 2000 metri. in alcuni casi sale a 3000 metri sulle Alpi e scende fino a 200 metri nel Trevigiano. È considerata specie pioniera essendo tra le prime a colonizzare nuovi terreni instabili o appena formati a causa di frane, il suo apparato radicale infatti ha azione consolidante sul terreno stesso.

Conservazione: da noi è considerata specie protetta. È compresa nella LRT (Lista Rossa Toscana) delle specie vegetali più a rischio di estinzione. Essa è classificata nella categoria LR (lower risk), cioè a rischio minimo. naturalmente, non deve essere danneggiata ed il fiore non deve essere assolutamente colto. Invece a livello nazionale non è considerata a rischio.

LE SPECIE RELITTE

Per “relitto geografico” si intende una specie che, nell’area che si considera e nella quale vive, è rimasta come testimonianza di una situazione passata nella quale era maggiormente diffusa. Invece per “relitto tassonomico” si intende una specie che ha mantenuto caratteristiche morfologiche e biologiche antiche nonostante il passare del tempo, una sorta di “fossile vivente” determinato da un grande isolamento tassonomico e filogenetico.

Durante le glaciazioni del Pleistocene[4] i ghiacci ricoprirono ampie aree dell’emisfero boreale intrappolando grandi volumi di acque e causando un generale abbassamento del livello medio del mare. Come conseguenza il nostro paese fu interessato dall’arrivo di specie artico-boreali la cui distribuzione era legata ai mutamenti climatici ed in particolare all’avanzamento verso sud delle calotte artiche. La maggior parte di queste specie, con il ritorno alle condizioni climatiche precedenti, si estinsero localmente ritirandosi verso le latitudini più favorevoli. Fecero eccezione alcune popolazioni marginali che si adattarono a vivere in micro-aree in cui le condizioni climatiche erano rimaste simili a quelle di origine. Considerando le specie vegetali arrivate con le glaciazioni alcuni gruppi limitati si rifugiarono, all’arrivo di condizioni climatiche più temperate, nei luoghi (stazioni relitte) dove le condizioni non erano molto mutate, come, per esempio, sulle montagne più alte dove stabilirono nuclei isolati di popolazioni ancora oggi esistenti. Queste specie costituiscono i relitti artico-glaciali.

Analogamente alcune delle specie giunte da sud in periodi di clima più caldo hanno superato il raffreddamento occupando le zone più soleggiate e più aride, mentre molte altre si sono estinte.

Tra le specie relitte artico-alpine presenti sulle Alpi Apuane ricordiamo la rosacea Dryas octopetala, la felce delle Woodsiacee Woodsia alpina (felce alpina), la cariofillacea Arenaria moehringioides (arenaria meringioide) presente esclusivamente sulla vetta della Pania della Croce, la genzianacea Gentiana purpurea (genziana porporina), la primulacea Soldanella alpina (soldanella comune), la ranuncolacea Trollius europeus (botton d’oro) e l’ericacea Rhododendron ferrugineum (rododendro rosso) di recente trovata nella zona di Fornovolasco mentre se ne conosceva la presenza nel vicino Appennino tosco-emiliano, come sull’Alpe di Mommio e sulla Cima Belfiore.

LO YOUNGER DRYAS

Lo stadiale[5] Younger Dryas (Dryas recente o grande congelamento) viene considerato come il più recente grande periodo di freddo[6].

Viene chiamato in questo modo dal nome della Dryas octopetala, fiore considerato indicatore dei climi boreali, i cui pollini[7] abbondano nei depositi relativi. Proprio la Dryas prosperava nella tundra glaciale che prese il posto delle foreste nord-europee con l’abbassamento delle temperature.

Studi al radiocarbonio datano l’evento tra il 12800 e l’11500 BP[8] (anni fa) quindi intorno all’11000 BP con una durata di circa 1300 anni, tra il Pleistocene e l’inizio dell’Olocene.

Le temperature erano tra i 15° ed i 5° gradi inferiori ad oggi ed è il più grande raffreddamento che c’è stato dal tempo delle grandi glaciazioni fino ad oggi.

In Europa il raffreddamento fu causato dall’interruzione della Corrente del Golfo a sua volta provocata dall’esondazione del lago Agassiz[9] nel mare di Labrador. Infatti le acque del lago galleggiarono sopra la densa e salata corrente del golfo bloccandone la circolazione.

Esiste anche un Older Dryas (Dryas arcaico o antico) centrato circa a 14100 BP con durata da 100 a 150 anni. Esso è più evidente nell’Eurasia settentrionale. Inoltre ci fu un Oldest Dryas (Dryas antichissimo) intorno a 18000-15000 BP. Anch’essi hanno come indicatore i pollini della Dryas.

Bibliografia

Chi fosse interessato all’argomento può leggere il libro di Brian Fagan, “La lunga estate. Come le dinamiche climatiche hanno influenzato la civilizzazione”, Codice Edizioni, Torino, 2005. In esso l’autore studia i legami tra le variazioni climatiche (paleoclimatologia) e la storia dell’uomo.

Concludo con questa frase dell’autore:

La civiltà nacque – e vive tuttora – durante una lunga estate calda, ma noi non abbiamo ancora idea di quando e come essa finirà.

Ed aggiungo che l’uomo si sta dando molto da fare per accelerare la fine.

Altre foto relative a questa specie, presenti su questo sito possono essere consultate qui

 

Attenzione: le applicazioni farmaceutiche e gli usi alimentari eventualmente indicati sono a puro scopo informativo. Decliniamo pertanto ogni responsabilità sul loro uso a scopo alimentare, curativo e/o estetico.



note

1 Ci si riferisce a piccole glaciazioni e non alle grandi glaciazioni che caratterizzarono il Pleistocene. In particolare il periodo considerato, che fa riferimento alla Dryas, è nella fase finale di quella che è chiamata Glaciazione Würm (110000-12000 BP) caratterizzata da grande variabilità del clima con successione di cicli caldi e cicli freddi.

2 Pietro Pellegrini “Flora della Provincia di Apuania ossia Rassegna delle piante fanerogame indigene, inselvatichite, avventizie esotiche e di quelle largamente coltivate nel territorio di Apuania e delle crittogame vascolari e cellulari, con la indicazione dei luoghi di raccolta”, Stab. Tip. Ditta E. Medici, Massa, 1942. Il testo è stato ristampato in copia anastatica nel maggio 2009 dalla Società Editrice Apuana di Carrara per conto della Fondazione Cassa di Risparmio di Carrara. Pag. 106.

3 Tomentoso: ricoperto di peli con aspetto fioccoso, come di cotone (quasi feltroso).

4 Pleistocene è l’epoca geologica che ha inizio 2,58 (per alcuni autori 1,8) milioni di anni fa e termina, convenzionalmente, 11700 anni fa (BP). È la fase più antica dell’era neozoica o Quaternario, quella nella quale viviamo. Gli eventi caratterizzanti del Pleistocene sono le ampie oscillazioni climatiche, che hanno determinato periodi freddi (glaciazioni) intervallati da periodi interglaciali con clima più mite.

5 Per stadiale si intende un corto periodo più freddo all’interno di un periodo interglaciale.

6 Altri periodi freddi, anche se di minore entità, si ebbero intorno al 7500 BP, poi intorno al 2500 BP. In seguito, dopo il periodo caldo medioevale si ebbe quella che viene chiamata Piccola era glaciale che va dal 1315 al 1860 dC, dopo è iniziato un periodo di riscaldamento che continua tuttora accentuato dall’intervento umano.

7 Il polline corrisponde alla microspora aploide che contiene il patrimonio genetico maschile delle piante ed è provvisto di una parete cellulare molto resistente che gli permette di sopravvivere anche per milioni di anni. Di conseguenza lo studio dei pollini (palinologia) è di grande importanza per la botanica, la zoologia, la geologia e pure per la criminologia.

8 Ricordiamo che si tende ad usare la notazione BP (Before Present) prendendo come riferimento l’anno 1950, invece della tradizionale aC che parte dall’anno 1.

9 Questo lago si trovava nell’America del Nord a confine tra gli attuali Usa e Canada in posizione centrale e si estendeva per oltre 400000 km quadrati.