LAVANDA
(Lavandula angustifolia)
LO SPAZIO DI FABIO - rubrica curata da Fabio Frigeri
9 settembre 2011

(f.f.) se capitate in estate alle pendici del monte della Mandriola, sopra Resceto, presso la casa Castagnolo, intorno ai mille metri di quota, potete godere della fioritura di questa bellissima e profumatissima pianta. È bene lasciarla in pace.

IL GENERE LAVANDULA

Famiglia Lamiaceae[1]

Lavandula L fu classificato da Linneo nel 1753.

Il nome generico Lavandula deriva dal verbo latino lăvāre (= lavare) poiché era usata sin dall’antichità per aromatizzare l’acqua usata per lavarsi. I latini, per riferirsi alla lavanda, usavano i termini stoechas, ădis e lăvandārĭa, ae, quest’ultimo è termine della latinità tarda.

Lavandula è un genere di piante comprendente una quarantina di specie presenti nelle regioni mediterranee, in Macaronesia e nell’Asia occidentale. Il genere comprende piante erbacee annuali e arbusti sempreverdi. Sono piante aromatiche, amano l’esposizione al sole e i terreni asciutti, hanno fioritura estiva e raggiungono l’altezza di 1,5 metri. Le foglie sono, in genere, lunghe e strette e i fiori sono raccolti in spighe che si alzano rispetto alle foglie e hanno colore blu, violetto, lilla.

Sono spesso usate nei giardini come piante ornamentali. Le piante di questo genere sin dall’antichità sono state usate come analgesiche, antiinfiammatorie, antisettiche, battericide, antinevralgiche, sedative e vasodilatatorie.

Con l’olio di lavanda vengono prodotti profumi, balsami, cosmetici e fragranze per il bagno.

Esistono numerose varietà e cultivar e alcuni ibridi.

Tra le specie presenti in Italia ricordiamo: Lavandula angustifolia, Lavandula dentata, Lavandula Lavandula latifolia, Lavandula multifida, Lavandula stoechas.

LAVANDULA ANGUSTIFOLIALavandula angustifolia (Lavanda)

Lavandula angustifolia Miller

Classificata da Philip Miller[2] nel 1768.

Conosciuta anche come: lavanda, spico, spico di San Giovanni.

Conosciuta volgarmente come: Lavandula officinalis Chaix, Lavandula vera DC., Lavandula spica L. var angustifolia Auct.

Il nome specifico angustifolia deriva da angustus, a, um (= stretto, angusto) e da fǒlǐum, ǐi (= foglia). Esso si riferisce alle dimensioni delle foglie che sono molto strette.

Questa specie ha proprietà medicamentose, come testimonia anche il sinonimo Lavandula officinalis, essa è antisettica, antidepressiva, antinfiammatoria, antipiretica e sedativa. Si usa l’olio per fare frizioni e lozioni. È usata anche per bagni rilassanti.

Le ricerche hanno confermato che la pianta è un repellente per gli insetti e questo convalida l’uso di mettere sacchetti con fiori essiccati negli armadi per combattere le tarme.

Viene coltivata come pianta ornamentale, ma soprattutto per l’industria dei profumi, dei saponi e dei cosmetici. Da essa viene prodotto un ottimo miele, raro e molto aromatico.

I fiori sia freschi che secchi trovano uso in cucina per aromatizzare cibi.

La Lavandula stoechas, che pure si trova sulle nostre montagne, si differenzia per la fioritura precoce, per il terreno di crescita che è siliceo e non calcareo e per la spiga fiorale sormontata da un ciuffo di brattee di color violetto.

Così riporta il botanico apuano Pietro Pellegrini[3]:

1126. – Lavandula spicaL. [Lavandula angustifolia Miller subsp. angustifolia]

= Lavandula vulgaris – α – Lam.

= Lavandula officinalis - Chaix

(luoghi in cui è stata osservata:) Trovata spontanea in area ristretta a Resceto sopra Massa[4].

Volg. Spigo, lavanda. Fiorisce da giugno a settembre. Pianta legnosa.

Pellegrini cita un’altra specie dello stesso genere: Lavandula stoechas L. [Lavandula stoechas L. subsp. stoechas]

LA PIANTA

Classificazione: Superdivisione: Spermatophyta; Divisione: Magnoliophyta (Angiospermae); Classe: Magnoliopsida; Sottoclasse: Asteridae; Ordine: Lamiales; Famiglia: Lamiaceae; Genere: Lavandula; Specie: Lavandula angustifolia

Forma biologica: Nano-fanerofita (simbolo: NP). Le fanerofite (simbolo P) sono piante perenni e legnose con gemme svernanti poste a un’altezza maggiore di 30 cm dal suolo. Le nano-fanerofite hanno le gemme poste tra 30 cm e 2 metri d’altezza.

La pianta ha anche proprietà delle: Fanerofita cespugliosa (simbolo: P caesp). Cespugliosa o cespitosa (simbolo: caesp) significa che il portamento è cespuglioso.

Descrizione: pianta arbustiva sempreverde, legnosa alla base, molto aromatica e alta 40-100cm. Le foglie sono verde-grigio, opposte, lineari o lineari-lanceolate, strette e lunghe fino a 3 cm. I fusti sono eretti, quadrangolari e pubescenti. I fiori sono riuniti in spighe terminali, sono piccoli e color azzurro-grigiastro (color lavanda), la corolla bilabiata in alto e trilabiata in basso. Il frutto è un poliachenio.

Antesi: giugno - settembre

Tipo corologico: steno-mediterranea. In Italia è presente in molte regioni, ma assente in Sardegna, Valle d’Aosta, Lombardia, Trentino, Emilia Romagna, Molise e Puglia.

Habitat: terreni calcarei, aridi e sassosi, esposti al sole fino a 1800 metri.

Conservazione: la specie non è compresa nella LRT (Lista Rossa Toscana) delle specie vegetali protette.

Altre foto possono essere consultate qui

Attenzione: le applicazioni farmaceutiche e gli usi alimentari eventualmente indicati sono a puro scopo informativo. Decliniamo pertanto ogni responsabilità sul loro uso a scopo alimentare, curativo e/o estetico.



note

1 Il nome originale della famiglia era Labiaceae in relazione al fiori i cui petali sono fusi a formare un labbro inferiore e uno superiore.

2 Philip Miller (1691-1771) botanico scozzese a lungo fu direttore del Giardino Botanico di Chelsea dove coltivò rare piante esotiche.

3 Pietro Pellegrini “Flora della Provincia di Apuania ossia Rassegna delle piante fanerogame indigene, inselvatichite, avventizie esotiche e di quelle largamente coltivate nel territorio di Apuania e delle crittogame vascolari e cellulari, con la indicazione dei luoghi di raccolta”, Stab. Tip. Ditta E. Medici, Massa, 1942. Il testo è stato ristampato in copia anastatica nel maggio 2009 dalla Società Editrice Apuana di Carrara per conto della Fondazione Cassa di Risparmio di Carrara. Pag. 229.