ERICA ARBOREA, STIPA
(Erica arborea)
LO SPAZIO DI FABIO - rubrica curata da Fabio Frigeri
09 agosto 2012

(f.f.) l’ Erica arborea è pianta mediterranea che sulle Apuane sale fino a 1200 metri su terreni silicei, nelle macchie e nei boschi di latifoglie. Non è raro vederla coprire ampie radure insieme all’Erica scoparia e allo spinoso Ulex europeaeus.

IL GENERE ERICA

Famiglia Ericaceae

Erica L. fu classificata da Linneo nel 1753.

Il nome generico Erica deriva dal verbo greco έρείκω (= spezzare, rompere) in relazione al fatto che l’erica rompe facilmente lo strato di terra o di neve che la copre. Altri autori sostengono invece che la denominazione derivi dal fatto che le radici rompono facilmente la roccia e altri ancora dalle pretese proprietà della pianta di distruggere i calcoli renali.

Comunque i termini ĕrīcē, ēs ed ĕrīca, ae furono già usati da autori latini come Plinio il Vecchio.

Il genere Erica comprende circa 700 specie di piante fruticose[1] o suffruticose[2] sempreverdi alte da 20 cm fino a 150, ma l’Erica arborea e l’Erica scoparia possono superare anche i 6 metri. Queste piante prosperano prevalentemente nell’Africa meridionale, ma sono presenti anche nel resto del continente africano, in tutta la zona mediterranea e nell’Europa occidentale.

Esse hanno foglie piccole e aghiformi generalmente verticillate, i fiori sono per lo più penduli, solitari o riuniti in racemi e non superano i 6 mm di lunghezza e sono urceolati, cioè a forma di orcio per la fusione dei petali. L’abbondante produzione di fiori favorisce la coltivazione di queste piante come ornamentali.

Alcune specie sono molto diffuse in Italia, in particolare nella macchia mediterranea, ma vegetano anche su colline e montagne: Erica arborea, Erica carnea (o Erica herbacea), Erica multiflora ed Erica scoparia.

Le eriche sono le tipiche piante della brughiera dove crescono in gruppi numerosi. La brughiera prende nome dal termine latino volgare di origine celtica brucus che designava sia l’erica sia la Calluna vulgaris (pianta delle Ericaceae a fioritura tardo-estiva abbastanza simile all’Erica carnea) adattate a vivere su terreni poveri di nutrienti minerali, molto acidi e aridi. In Italia la brughiera era ben diffusa nella Pianura Padana prima che le bonifiche ne riducessero la diffusione.

L’erica è molto ricca di nettare e le api ne ricavano un miele scuro molto apprezzato, le radici vengono usate per fabbricare fornelli da pipa di gran pregio[3] (essenzialmente l’Erica arborea) e i rami tortuosi e molto ramificati erano usati in passato per fare scope (essenzialmente l’Erica scoparia).

Con i fiori si producevano decotti usati come rimedio per malattie renali. I fiori erano poi considerati portafortuna e offerti come pegno d’amore.

Il nome di persona Erica, ben distribuito nel nord del nostro paese, non deriva dal nome del fiore, ma dal nome scandinavo Erik (anticamente Eirikr) che significava “ricco d’onore”, “unico padrone”. Questo nome fu usato da re svedesi dal medio evo al rinascimento ed è il nome del famoso Erik il Rosso, esploratore norvegese, che arrivò in Groenlandia.

In molti dialetti locali delle nostre zone (Sarzana, Carrara, Massa, Lucca, Pistoia) le eriche sono conosciute come stipa[4].

ERICA ARBOREA

Erica arborea

Erica arborea L.

Classificata da Linneo nel 1753.

Conosciuta volgarmente come: erica arborea, scopa, stipa

Il nome specifico arborea deriva dal latino arbŏrĕus, a, um (= di albero, simile ad albero) a causa del portamento arboreo che la pianta può assumere.

L’ Erica arborea è pianta tipica della macchia mediterranea, ma può spingersi più in alto in boschi di latifoglie, ad esempio nei castagneti. Può assumere portamento arbustivo o arboreo. Ama i terreni silicei e può raggiungere i 1200 metri di altitudine.

Fu usata in passato per produrre carbone, scope grossolane e coperture per tetti. È pianta che resiste bene al passaggio del fuoco e può coprire estese superfici diventando molto suggestiva specialmente alla fioritura.

Alla pianta sono attribuite proprietà diuretiche e antisettiche e il decotto dei fiori è usato come rimedio per le cistiti. Le foglie giovani sono appetite da pecore e capre.

Una specie molto simile è Erica scoparia L. che vegeta negli stessi ambienti, ma ha rami sempre glabri mentre quelli dell’Erica arborea sono pubescenti quando sono giovani. Inoltre la Erica scoparia raggiunge dimensioni minori, le corolle sono più piccole e di colore verdastro e le antere sono prive di appendici basali presenti invece in Erica arborea.

Sulle Alpi Apuane le eriche sono solite ricolonizzare antichi pascoli o terreni usati in passato per la coltivazione insieme allo spinoso Ulex europeaeus, anche per la loro resistenza agli incendi. In ogni modo la pianta cresce molto bene su terreni acidi che ricoprono le filladi e gli scisti apuani mentre manca sui terreni calcarei.

Così riporta il botanico apuano Pietro Pellegrini[5]:

955. – Erica arborea – L.

= Erica caffra – L.

= Ericaprocera – Salisb.

(luoghi in cui è stata osservata:) Abbondante nei boschi della Marina di Massa ai Ronchi, a Poveromo, nel M. di Pasta, a Canal Magro, a M. Pepe, in tutta la collina di Montignoso, al M. Fragolino, al M. Belvedere, al M. Brugiana, nella valle del canale della Foce, nei colli intorno al Mirteto, a Pianamaggio, a M. Olivo. A S. Lorenzo, alla Pernice, a Candia, a Codupino. Nei monti di Carrara alla Foce, tra Codena e Bergiola Foscalina, a Bedizzano, a Gragnana e a Noceto e tra Castelpoggio e Fosdinovo, a Fontia, a S. Lucia, a Fossone e tra Caniparola e Fosdinovo, tra Pontremoli e Zeri (Simi), in tutto il territorio di quest’ultimo comune e in tutti i restanti comuni e frazioni della Provincia.

Volg. Stipa, scopa, scopone. Fiorisce in aprile. Pianta legnosa.

Pellegrini cita altre specie dello stesso genere: Erica carnea L. [Erica herbacea L. subsp herbacea], Erica scoparia L. [Erica scoparia L. subsp. scoparia]

LA PIANTA

Classificazione: Superdivisione: Spermatophyta; Divisione: Magnoliophyta; Classe: Magnoliopsida; Sottoclasse: Dilleniidae; Ordine: Ericales; Famiglia Ericacae; Genere Erica; Specie: Erica arborea

Forma biologica: Fanerofita cespugliosa (simbolo: P caesp). Fanerofita (simbolo: P) è una pianta perenne e legnosa con gemme svernanti poste a più di 30 cm dal suolo. Cespugliosa o cespitosa (simbolo: caesp) significa che il portamento è cespuglioso.

Descrizione: arbusto perenne o piccolo albero sempreverde alto fino a 5 metri. Ha portamento eretto, ma può diventare contorto, corteccia rossastra e chioma densa e ramificata. I rami giovani sono pubescenti e quindi bianco-lanosi. Le foglie sono molto numerose, aghiformi, lunghe 5 mm e di colore verde scuro. I fiori sono piccoli e penduli, in infiorescenze alla fine dei rami, hanno corolla bianco-rosea, campanulata con diametro di 3 mm da cui sporgono le antere bruno-rossastre. Il frutto è una piccola capsula divisa in 4 parti e contiene numerosi semi.

Antesi: marzo – maggio.

Tipo corologico: steno-mediterraneo. È presente nelle coste del Mediterraneo (zona dell’olivo) e in Africa centro-orientale. In Italia è presente su tutto il territorio nazionale eccetto nella Valle d’Aosta e nel Friuli.

Habitat: vegeta nelle macchie, nei boschi di latifoglie su terreni acidi. È presente sia in aree con clima caldo secco che in climi più freddi e umidi dal piano fino a 1200 metri.

Conservazione: la specie non è compresa nella LRT (Lista Rossa Toscana) delle specie vegetali protette.

Altre foto possono essere consultate qui

 

Attenzione: le applicazioni farmaceutiche e gli usi alimentari eventualmente indicati sono a puro scopo informativo. Decliniamo pertanto ogni responsabilità sul loro uso a scopo alimentare, curativo e/o estetico.



note

1 Frutice: pianta con fusto legnoso e ramificato dalla base.

2 Suffrutice: pianta con fusto legnoso per breve tratto e consistenza erbacea nella parte superiore.

3 Si usa il ceppo basale di piante di almeno 50 anni. Il legno è durissimo e molto resistente al calore per l’alto contenuto di silicio assorbito dal terreno.

4 Questa parola in italiano significa “insieme di sterpi e rami secchi usati per accendere il fuoco” e viene usato anche per denominare alcune graminacee.

5 Pietro Pellegrini “Flora della Provincia di Apuania ossia Rassegna delle piante fanerogame indigene, inselvatichite, avventizie esotiche e di quelle largamente coltivate nel territorio di Apuania e delle crittogame vascolari e cellulari, con la indicazione dei luoghi di raccolta”, Stab. Tip. Ditta E. Medici, Massa, 1942. Il testo è stato ristampato in copia anastatica nel maggio 2009 dalla Società Editrice Apuana di Carrara per conto della Fondazione Cassa di Risparmio di Carrara. Pag. 197.